Qui sotto riportiamo l’intervista che abbiamo fatto a Gianfranco Martuscelli, l’autore del libro ” La strategia del terrone“.
Per scrivere letteratura umoristica occorre un talento di base?
Una brutta notizia per chi crede di essere simpatico e pensa che la sua dote sia (soltanto) un dono di natura, un’attitudine esclusiva e inarrivabile. Ebbene sì, simpatici si può anche diventare. L’umorismo non è una disciplina ma si possono studiare con disciplina e abnegazione i suoi elementi fondanti e suscitare ilarità. Certo non diventeremo mai Fiorello o Gigi Proietti, mostri sacri inarrivabili, l’obiettivo deve sempre essere commisurato alle potenzialità. Di sicuro, però, potremo riuscire a far ridere in ufficio, tra amici o suscitare simpatia con le nuove conoscenze. E se approfondiamo lo studio, anche i nostri racconti e romanzi saranno intrisi di situazioni comiche e battute sagaci. I maggiori performer si muovono secondo una scaletta costruita a tavolino, liberi però, di improvvisare secondo gli input esterni che arrivano dal pubblico e dall’ambiente.
Mi stai dicendo che l’umorismo ha delle regole?
Proprio così, sia la costruzione di una barzelletta che quella di un romanzo segue dei precisi canoni che stimolano determinati meccanismi mentali che poi portano a ridere. Senza conoscere bene gli strumenti del mestiere non si arriva lontano. Occorre sapere come si costruisce un personaggio, cosa lo rende empatico, il tipo di storia che vogliamo rappresentare e strutturarla in funzione del pubblico che vogliamo ne fruisca. Per tradire una regola bisogna conoscerla alla perfezione. Spesso lo fa un autore acclamato con un pubblico che lo seguirebbe ovunque, ma sono eccezioni da non emulare.
Il pubblico quanto incide nella genesi del racconto?
Non possiamo presentare un fumetto anticlericale, anche se ben fatto, a Edizioni Paoline o dire una simpatica battuta maschilista in un incontro sulla violenza sulle donne. È bene tener sempre presente il target di riferimento, chi è il nostro pubblico. Se scriviamo un romanzo fantasy dobbiamo saperne di draghi e di streghe perché il lettore conosce bene l’argomento e cerca una storia che lo avvinca attraverso un forte conflitto tra il bene e il male. L’elemento trattato deve sempre essere in funzione di chi lo ascolta.
Quali sono le caratteristiche fondamentali della letteratura umoristica?
Se si vuole smuovere il sorriso del pubblico basta inventare personaggi “incredibili”, investirli di forti prospettive comiche, difetti e umanità, esagerare quegli attributi e infine lasciarli scorrazzare in una trama credibile, possibilmente con un happy ending. Detta così sembra facile ma ho sintetizzato evidenziando i principali elementi caratterizzanti. Occorre scrivere e riscrivere un testo infinite volte, frequentare corsi di scrittura creativa, leggere manuali e seguire webinar. Lo scrittore autodidatta è un’immagine che risale ai tempi passati, chi non studia le nuove tecniche di scrittura e osserva la realtà da un mondo che non esiste più finisce per scrivere solo per se stesso. Per questo non si può prescindere dal sapere, ad esempio, che la prospettiva comica è la spaccatura tra la realtà comica e quella vera e che ogni qualvolta un personaggio osserva il mondo da una prospettiva obliqua, si crea una spaccatura tra le due realtà. L’umorismo vive di questa spaccatura. Per crearla bisogna scrivere qualcosa di inaspettato. Di solito è sufficiente pensare a quello che ci si aspetta e poi scrivere il contrario.
Questo concetto ricorda molto il pensiero laterale di De Bono, non è vero?
È una sua naturale declinazione. Senza addentrarci troppo nelle neuroscienze possiamo dire che l’umorismo è la forma più pura del pensiero laterale inteso come capacità di sovvertire la logica, di rielaborare in modo alternativo le informazioni e reinterpretarle intuitivamente creando nuovi modelli. Anche l’umorismo delinea un confine che sistematicamente disattende. Ridiamo, infatti, quando accade qualcosa di sorprendente, di inatteso che va contro gli schemi abituali. In quei frangenti scardiniamo ciò che il cervello dà per scontato, ribaltiamo le nostre credenze.
Quali autori italiani di letteratura umoristica consiglieresti?
Non è mai esaltante racchiudere qualcosa o qualcuno in categorie, si rischia di creare nicchie marginali, e ti assicuro che quello dell’umorismo è quasi sempre stato un settore ghettizzato. A torto classificato come una sorta di figlio di un dio minore. Per questo, il primo nome che faccio è quello di Stefano Benni: nessuno si permetterebbe mai di sminuire la sua opera e tutti ne riconoscono la straordinaria capacità di creare mondi fantastici, spesso riconducibili all’Italia, attraverso un uso sapiente, innovativo e spregiudicato dell’umorismo. Un altro autore a cui sono molto legato è Francesco Muzzopappa. Ha la capacità unica di creare situazioni comiche, gag e battute di qualità in successione impressionante. La sua penna è una mitragliatrice umoristica che spara colpi a raffica che ti lasciano a terra steso, morto… dalle risate